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Olio Casella: l’avventura di un figlio, nella terra delle meraviglie

La Calabria è la terra delle meraviglie.

Ricca di città sepolte, miti omerici e grandi siti archeologici. Patria di legislatori, architetti, poeti, condottieri e atleti dell’antichità. Terra di Papi dimenticati, di Santi ed eremiti, di greci e bizantini. Madre segreta dei Bronzi di Riace e del Toro cozzante di Sibari, come dei misteriosi “monumenti” di pietra di Nardodipace, Stilo, Campana e Davoli. Una regione capace di conquistare, con le mille tracce del suo passato, il cuore di archeologi di fama come Paolo Orsi e di glottologi d’infinita curiosità scientifica come Gerhard Rohlfs.

È la Calabria affascinante che raccontiamo poco, quella in cui giacciono nascosti da secoli gli “arnesi” usati da Epeo per costruire il celeberrimo cavallo di Troia e dove sorgeva Thurii, la città disegnata per ordine di Pericle da Ippodamo da Mileto, l’urbanista più famoso del mondo ellenico. Thurii, che sorse nella Sibaritide, fu amata dai filosofi Protagora ed Empedocle così come dall’oratore Lisia (quello delle versioni in classe che gli studenti dei Licei classici italiani tanto… amano). Essa dette i natali al più importante degli imperatori romani, Cesare Ottaviano Augusto, chiamato per questo “il thuriino”. Il condottiero rivendicò la sua origine con orgoglio al cospetto di Marco Antonio che, invece, si mostrava sul punto sarcastico e irriverente. Thurii fu molto cara pure allo storico Erodoto che li vi scrisse le “Storie” e forse vi morì.

Nella medesima zona sorgeva, ancor prima, la mitica Sybaris, nota come la “comunità degli ozi” perché i suoi abitanti amavano discettare di filosofia e astronomia, vivendo tra musiche, belle donne, vino pregiato e cibi prelibati.

La Calabria è pure la patria di Zaleuco da Locri, il primo legislatore dell’umanità, e di Nosside, poetessa di straordinaria audacia culturale che può considerarsi pari a Saffo.

A Scilla può invece ricondursi l’opera del “poeta cieco” Omero, che vi colloca nell’Odissea il passaggio drammatico di Ulisse, così come alle scogliere del mare dal colore viola è legata la leggenda di Glauco e del suo amore impossibile svelato da Ovidio duemila anni fa.

Oreste, fiiglio di Clitennestra, è raccontato dal golfo naturale di Rovaglioso, a Palmi, dove il principe greco approdò per cercare un fiume, il Metauros, ove immergersi per scampare alla furia delle Erinni (Tisifone, Megera e Aletto) che lo perseguitavano dopo l’omicidio della madre. E lungo il fiume cercato disperatamente dall’acheo visse un altro poeta cieco dell’antichità, Stesicoro, a cui a Gioia Tauro sono dedicati spazi pubblici.

A Reggio e Vibo è legata la vita di Marco Tullio Cicerone, politico ed oratore romano che vi trascorse dei periodi di permanenza durante gli spostamenti compiuti per raggiungere la Sicilia.

In Calabria sorsero, oltre Locri, Sybaris e Thurii, città importantissime come Temesa, Kroton, Nepetia, Medma, Taureanum, Laos, Kaulon, Hypponion, Reghion, Mella, Castrum Villarum, che hanno segnato la storia prima greca e poi romana. Basta infatti scavare da qualche parte, in un punto qualsiasi delle aree costiere e collinari, che vengono fuori vestigia di comunità, necropoli, monete, anfore, suppellettili, in una strana sovrapposizione di epoche e civiltà, di popoli e storie, di resistenti e conquistatori.

E che dire, poi, della città “scomparsa” di Petelia, che lo studioso francese Francois Lenormant ha da tempo collocato nel comprensorio di Strongoli. Una tesi smentita dallo studioso cosentino Luigi Palermo che colloca la più antica città dopo Troia fondata da Filottete, ai piedi «d’una collinetta della Sila Greca» ove sorgono le rovine di Castiglione di Paludi (Cosenza). Quelle antiche mura sarebbero proprio di Petelia la città che ebbe l’onere – come racconta Tito Livio – di resistere per undici mesi all’assedio dell’esercito di Annibale.

La Calabria è pure terra di Santi come testimoniano le straordinarie esistenze di Fantino di Taureana, Elia lo speleota di Melicuccà, Nilo di Rossano, Francesco il taumaturgo di Paola, Umile di Bisignano, Nicola Saggio di Longobardi. Chiese, monasteri e santuari d’incommensurabile bellezza li ricordano a turisti e visitatori occasionali.

Ma la Calabria è pure terra di Papi: dalla diocesi di Thurii, nei primi secoli del Cristianesimo, arrivano infatti a Roma i pontefici Telesforo e Dionisio. Due Papi incredibilmente dimenticati da tutti noi calabresi.

La Calabria è pure intensamente legata alla Spagna. I regnanti del Regno di Napoli e poi delle Due Sicilie furono, in fasi diverse, di origine iberiche. Dapprima nel 1500 vi furono gli aragonesi che eressero molti torri di avvistamento costiero in difesa della popolazione: a quell’epoca, infatti, erano continui gli attacchi dei pirati saraceni che arrivavano a bordo delle loro galee e assaltavano i paesi e le città. Furono pertanto gli aragonesi ad erigere torri di avvistamento lungo le coste sia ionica che tirrenica. I saraceni rapivano spesso i bambini o gli adolescenti per ridurli in schiavitù. Uno di questi, Giovanni Dionigi Galeni, venne preso che era ancora un ragazzino di 11 anni a Isola Capo Rizzuto e portato tra gli arabi imparò la loro cultura, si convertì all’Islam e poi divenne, piano piano, uno di loro sino a ricoprire l’incarico del comandante di navi pirata. Combattè persino nella famosa battaglia di Lepanto combattuta tra la flotta cristiana e quella turca. Il suo iniziale rapimento ricorda quello subito da Miguel de Cervantes che rimase ostaggio dei pirati arabi per cinque anni riuscendo poi a tornare in patria.

La stessa Spagna ha a lungo subito la dominazione araba come una parte della Calabria: ad Amantea, città della costa, nel 1500 venne addirittura fondato, per esempio, un califfato.

Nel 1700 assunsero la guida del Regno delle Due Sicilie i Borbone di Spagna che rimasero in carica sino al 1860.

Negli stessi dialetti si fa riferimento con alcuni vocaboli alla lingua spagnola. C’è pure un detto – “Ti spagni” (hai paura) – che deriva dai timori insorti tra la gente all’arrivo delle squadre militari spagnole nei piccoli paesi.

È ancora legata a Miguel de Cervantes ed alla Spagna tutta la nascita della simbologia e della storia della mafia calabrese – la ‘ndrangheta -. C’è, infatti, una donna misteriosa e geniale che aleggia sul mito fondativo delle organizzazioni criminali del meridione d’Italia. È tedesca e nobile, cresciuta in uno splendido palazzo che guarda austero l’Havel scorrere dall’altra parte della strada. Ama Miguel de Cervantes, lo scrittore spagnolo finito per un periodo schiavo dei saraceni e adora, ancor di più, l’Andalusia, la Castiglia e La Camancha. Le guerre contro gli arabi, l’eroismo dei condottieri iberici, la grandezza dei possedimenti situati al di là degli oceani la affascinano fino al punto di voler visitare, travestita da uomo, Madrid, Toledo e Siviglia espressione d’un mondo che l’ha completamente conquistata.

Lei, figlia di una contessa legata alle famiglie imperiali germaniche e d’un alto ufficiale di cavalleria prussiano di origini altrettanto antiche e nobili, ha nel sangue il gusto per l’avventura e il fuoco per la conoscenza. La donna, luterana e anticlericale, coltiva anche un desiderio di giustizia e di equità sociale: è stanca delle comodità e dei benefici di cui godono quelli del suo ceto. Inorridisce di fronte ai soprusi subiti dalla povera gente in fila per ottenere un tozzo di pane, costretta a vivere in stanze umide e fredde d’inverno e bollenti d’estate, oppure in baracche o case cadenti sparse in giro per una città resa celebre dalla dissolutezza dei suoi Principi e dalla corruzione delle loro corti. Dalla finestra del suo balcone guarda l’acqua dell’Havel scorrere perpetua e immutabile come quel mondo di ipocrisie e adulazioni che la circonda. Immagina altro e la sua fantasia cresce e spazia man mano che affonda gli occhi e la mente negli scritti di quello straordinario inventore di personaggi come don Chisciotte: Cervantes è stato militare, poeta, romanziere e drammaturgo.

È pensando a lui, alle storie che ha costruito, che decide di dar corpo e struttura compiuta ad una setta, come quelle davvero esistite in Spagna dal 1400 in avanti, composta da uomini capaci di andare a braccetto con la morte. Uomini uniti da un comune giuramento, una medesima religiosità, un uguale coraggio ed una sottile astuzia che consentono, a ciascuno di loro, d’essere potere e contropotere. Sono vincolati al silenzio e ossequiosi delle interne gerarchie, tramano nell’ombra e colpiscono duramente i nemici con la stessa ferocia con la quale trafiggono i traditori. Una setta pronta ad intervenire quando si tratta di punire i prepotenti e proteggere gli indigenti, alimentata da un cultura di segretezza e da una cassa comune rifornita dai capitali sottratti attraverso mirate azioni criminose. Una setta con un principio fondativo inviolabile sintetizzato in quattro piccole affermazioni indicative: “Buen ojo, buen oido, buenas piernas y poca lingua” (“buon occhio, buon udito, buone gambe e poca lingua”)…

Ma la Calabria è pure grande produzione agricola di qualità. Da sempre.

Ulivi secolari vigilano austeri sulle vallate che scendono ad accarezzare i torrenti e lungo le scarpate capaci di condurre sino al mare.

La Calabria è la madre benigna dell’olio, il suo migliore prodotto.

“Da noi” diceva con identitario orgoglio lo scrittore Domenico Zappone “l’olio è un sugo capace di condire ogni pietanza”.

È davvero così e la sua produzione rimane una delle attività imprenditoriali più antiche e longeve.

Un’attività fatta pure con passione e slancio da coloro che, pur svolgendo professioni dedite alla speculazione intellettuale e al diritto, proseguono e ravvivano nobili tradizioni familiari.

È il caso dei produttori dell’Olio Casella, lanciati in una straordinaria avventura nelle lussureggianti campagne di San Procopio, piccolo e laborioso paese della provincia di Reggio Calabria.

Giuseppe Saletta, avvocato per scelta, figlio di Francesco, una delle figure storiche del mondo forense della Piana di Gioia Tauro, nipote del celeberrimo ricercatore e studioso Vincenzo Saletta, ha ridato colore, vita e frutto agli alberi tra i quali da bambina la madre, Franca, correva a perdifiato con le amichette del cuore.

L’amore filiale, l’affabulante verde broccato delle siepi e il fascino misterioso dei tronchi capaci per decenni di sfidare la furia degli elementi, l’hanno spinto a creare un’azienda modello, immersa tra le zolle di quella terra calpestata in secoli lontani dai viandanti greci, dai monaci eremiti, dai guerrieri di stirpe romana e bizantina.

L’impresa di questo giurista è da considerarsi doppiamente speciale, perché se da un lato ha rimesso in piedi un segmento produttivo che sembrava quasi perduto, dall’altro ha strappato terre alla nefasta influenza delle espropriazioni private mafiose.

L’Olio Casella è oggi produzione di altissima qualità ma pure sede, con i suoi casolari ristrutturati, di testimonianza culturale e di operosa azione di studio e di confronto.

Un luogo da visitare se si vuol capire davvero lo spirito della Calabria.

Arcangelo Badolati