La pianta dell’ulivo è legata all’umanità, fra miti e storia, fra realtà e leggenda. Col suo tronco testimonia il passare dei secoli, protende i rami al cielo, in segno di forza ed alla ricerca di Dio ed offre il suo frutto, che decanta sacralità e vita.
Simbolo trascendente e spirituale, un’antichissima leggenda narra che, nel corso di una sfida per fare il più bel dono al popolo tra i due dei Atena e Poseidone, la prima vinse colpendo la roccia con la sua lancia e facendo nascere il primo albero di ulivo, già carico di fiori e frutti. Zeus scelse la splendida pianta, dicendo: “Tu donasti agli uomini l’ulivo e con esso hai donato luce, alimento e un eterno simbolo di pace”.
La storia, anche ma non solo cristiana, insegna come in effetti tale pianta ha sempre incarnato il seme della pace: Annibale suggerì ai Cartaginesi di recarsi da Scipione con battelli ornati di ulivo, così come Solone emanò una legge con la quale puniva a morte chi avesse osato tagliare un albero della specie. Se per Tucidide, l’ulivo, unitamente alla vite, fu il primo segno di civilizzazione dei popoli del Mediterraneo, che impararono a cingere le statue delle divinità con rametti in segno di rispetto e devozione, la leggenda vuole che – dopo il diluvio universale – Noè fece uscire dall’arca una colomba, e questa ritornò imbeccando un ramoscello della pianta.
Probabilmente anche il suo potere medicamentoso contribuì a tributarle un valore sacramentale: fin dall’antichità, infatti, l’uomo primitivo – vivendo simbioticamente a stretto contatto con madre Natura, e traendo da Essa ogni possibile suggerimento ed insegnamento – scoprì come il frutto della pianta avesse proprietà benefiche. Sicché imparò ad utilizzarlo, non solo per confezionare unguenti olii e balsami profumati, bensì anche per le sue proprietà curative.
Nei grandi poemi dell’Odissea e dell’Iliade, si narra che gli atleti utilizzassero l’olio per i massaggi prima della gara ed al vincitore venisse cinto il capo con una corona di ulivo.
Ippocrate riteneva che il succo delle olive fresche fosse medicamentoso per la cura delle malattie mentali, ed i suoi impacchi fossero rimedio contro le ulcere.
La sua efficacia naturale, nell’800, fu riscontrata nella lotta contro il rachitismo infantile, contro il mal di pancia, per combattere la piorrea.
Quel vasto territorio fertile che era la Magna Grecia, indi le terre costiere di Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, rappresentarono l’humus ideale per la sua piantagione, ed il suo frutto divenne l’oro giallo, la principale fonte di ricchezza dei popoli del Sud.
La sua fama ed il suo pregio, tuttavia, non sono custoditi in un forziere consegnato al passato: se, appena sbarcati sulla Luna, i primi astronauti ivi deposero una targa con impresso, in oro, un ramoscello d’ulivo, tanto fecero in segno di pace, certo, ma anche in segno di crescita dell’uomo, di sviluppo della scienza, di valore sempiterno di madre Natura.
Ed oggi più di ieri, dove sembra che l’uomo aneli nuovamente un coniugio con la sua amata Terra, i nostri uliveti si stagliano ai nostri occhi, inebriando i nostri sensi, colmando le narici ed il nostro gusto fino ad arrivare al cuore.
Così è stato appurato che i polifenoli, contenuti nel frutto, siano sostanze antiossidanti che difendono il corpo dall’insorgere di alcune forme tumorali – quali quello al seno (indagine condotta dall’Università di Chicago, nonché la Fondazione Veronesi) ed al colon – combattono l’invecchiamento e riducono i rischi di Alzheimer. Inoltre, un’indagine che ha monitorato per cinque anni ottomila spagnoli, ha rilevato che i menù conditi con olio extravergine riducono del 30% il pericolo di infarto e ictus. Ancora, i grassi insaturi dell’olio Evo rafforzano la membrana cellulare rendendola meno aggredibile ed attaccabile da virus e batteri. È risaputo che la vitamina E, di cui l’olio è un ottimo somministratore, è definita la vitamina della bellezza; l’Evo combatte anche il diabete; infine, l’extravergine è un potente antinfiammatorio.
La Natura ci insegna come vivere meglio e lo fa in mille modi e con altrettanti rimedi, ma ricordiamoci che è il lavoro dell’uomo che può far tesoro dei suoi ammonimenti: quell’oro giallo che stilla dal frutto dell’ulivo proviene, infatti, dal duro e costante lavoro dell’uomo, dalla cura della pianta alla raccolta del suo frutto – direttamente dall’albero se vuole ottenersi olio extravergine – infine alla sua molitura che consente di ottenere 20 Kg di olio da un quintale di olive colte.
Pertanto, quando mettiamo a tavola i nostri cibi, pensiamo alla genuinità, alla salubrità ed al gusto del loro condimento principale, “recondita e suprema condizione della pentola” (Pablo Neruda, con riferimento all’extravergine): l’olio, frutto – ieri come oggi – del lavoro dell’uomo, ma sempre dono di natura, simbolo di vita e di rigenerazione.
Giuseppe Saletta