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I contratti agrari

Con il contratto di affitto il locatore concede il godimento del fondo dietro il pagamento di un corrispettivo e l’affittuario gestirà l’impresa agricola: si tratta, dunque, di un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive, che ha per oggetto, come detto, il godimento, con la percezione dei frutti, del bene affittato, contro il pagamento di un canone.

I contratti di affitto a coltivatori diretti, singoli o associati, oppure a conduttori non coltivatori diretti, hanno la durata minima di quindici anni, salvo quanto previsto dalla legge n. 203 del 3 maggio 1982 per quelli già in essere alla data di entrata in vigore del suddetto testo normativo.

In mancanza di disdetta di una delle parti, il contratto di affitto si intende tacitamente rinnovato per il periodo di quindici anni; la disdetta deve essere comunicata almeno un anno prima della scadenza del contratto, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

La legge avvantaggia il coltivatore, considerato soggetto debole del rapporto contrattuale, nel prevedere che egli può sempre recedere dal contratto con semplice preavviso da comunicarsi al locatore, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, almeno un anno prima della scadenza dell’annata agraria; l’affittuario, pertanto, non deve dimostrare di avere particolari motivi ed esigenze per recedere, diversamente da quanto è previsto per il proprietario.

La risoluzione del contratto di affitto può essere pronunciata nel caso in cui l’affittuario si sia reso colpevole di grave inadempimento contrattuale, particolarmente in relazione agli obblighi inerenti al pagamento del canone, alla normale e razionale coltivazione del fondo, alla conservazione e manutenzione del fondo medesimo e delle attrezzature relative, alla instaurazione di rapporti di subaffitto.

Tuttavia prima di ricorrere all’autorità giudiziaria, il locatore è tenuto a contestare all’altra parte, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l’inadempimento e ad illustrare le proprie motivate richieste; ove il conduttore sani l’inadempienza entro tre mesi dal ricevimento di tale comunicazione, non si dà luogo alla risoluzione del contratto.

La morosità del conduttore costituisce grave inadempimento quando si concreti nel mancato pagamento del canone per almeno una annualità.

Ciascuna delle parti può eseguire opere di miglioramento fondiario, addizioni e trasformazioni degli ordinamenti produttivi e dei fabbricati rurali, purché le medesime non modifichino la destinazione agricola del fondo e siano eseguite nel rispetto dei programmi regionali di sviluppo oppure, ove tali programmi non esistano, delle vocazioni colturali delle zone in cui è ubicato il fondo.

La parte che intende proporre l’esecuzione delle suddette opere, in mancanza di un preventivo accordo, deve comunicarlo all’altra parte e all’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento; qualora l’Ispettorato esprima parere favorevole il proprietario del fondo deve comunicare entro 60 gg se egli stesso intenda eseguire le opere.
In caso di dichiarazione negativa o di silenzio, l’affittuario può procedere senz’altro alla esecuzione delle medesime, mentre qualora il proprietario comunichi di voler eseguire direttamente le opere deve iniziare ed ultimare le relative opere entro i termini assegnati dall’ispettorato stesso.
Se il proprietario non dà inizio alle opere o non le ultima entro i termini previsti l’affittuario può eseguirle a sue spese.

Il locatore che ha eseguito le opere può chiedere all’affittuario l’aumento del canone corrispondente alla nuova classificazione del fondo, mentre l’affittuario che ha eseguito le opere ha diritto ad una indennità corrispondente all’aumento del valore di mercato conseguito dal fondo a seguito dei miglioramenti.

All’affittuario compete la ritenzione del fondo fino a quando non gli sia stata versata dal locatore l’indennità fissata dall’Ispettorato oppure determinata con sentenza definitiva dall’autorità giudiziaria.

L’affittuario può, inoltre, eseguire piccoli miglioramenti, in deroga a quanto fin qui previsto, previa comunicazione da inviarsi al concedente, venti giorni prima della esecuzione delle opere, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Per piccolo miglioramento si intende quello che venga eseguito dall’affittuario con il lavoro proprio e della propria famiglia e che non comporti trasformazioni dell’ordinamento produttivo, ma sia diretto a rendere più agevoli e produttivi i sistemi di coltivazione in atto.

La legge 203, infine, vieta i contratti di subaffitto, di sublocazione e comunque di sub concessione dei fondi rustici.

La violazione del divieto, ai fini della dichiarazione di nullità del subaffitto o della sub concessione, della risoluzione del contratto di affitto e della restituzione del fondo, può essere fatta valere soltanto dal locatore, entro quattro mesi dalla data in cui ne è venuto a conoscenza; se il locatore non si avvale di tale facoltà, il subaffittuario o il sub-concessionario subentra nella posizione giuridica dell’affittuario o del concessionario.

La legge 203/1982 ha cancellato tutta una serie di contratti esistenti in agricoltura tra i quali i più importanti e largamente diffusi erano il Contratto di Colonia Parziaria e quello di Mezzadria.

Con il primo il concedente (proprietario) ed uno o più coloni si associavano per la coltivazione di un fondo e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividere i prodotti e gli utili (art.2164 c.c.).

La particolarità di questo contratto era nell’oggetto e nei soggetti: in particolare, l’oggetto non era un podere organizzato, ma un fondo qualsiasi purché produttivo e il mezzadro si impegnava a lavorare, oltre che personalmente, anche con i membri della famiglia colonica.

Il secondo è un contratto agrario con cui il concedente ed il mezzadro, in proprio e quale capo di una famiglia colonica, si associano per la coltivazione di un podere e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di dividerne a metà i prodotti e gli utili.

Per questi ultimi la legge 756/1964 stabilì che al mezzadro venisse assegnata una quota pari al 58%, ma questa disposizione non si applicava in caso di prodotti ed utili il cui valore non poteva essere determinato prima della vendita, di quelli che non potevano essere venduti separatamente senza arrecare pregiudizio agli interessi delle parti e di quelli che si ottenevano giornalmente durante l’anno e la cui indivisibilità era consuetudinaria.

Come detto la legge n.203/1982 e la successiva 29/1990 hanno inciso in maniera rilevante su tale contratto sia sancendo il divieto di stipulare nuovi contratti di mezzadria, sia stabilendo la conversione in affitto dei contratti di mezzadria in corso.

La conversione si attuata nel termine di quattro anni dalla entrata in vigore della legge su richiesta di una delle parti da comunicarsi all’altra con raccomandata da inviarsi 6 mesi prima della fine dell’annata agraria.